Il quesito tracciato nel titolo di questo breve libello non rappresenta una questione meramente di scuola siccome determina, a seconda del significato che si voglia conferire alla parola “parte” nei casi previsti dagli articoli 182, co. II, primo capoverso, c.p.p.[1] e 183, co. I, lett. a), c.p.p.[2], notevole conseguenze sul piano giuridico.
Ciò posto, colui che scrive ritiene che per “parte”, nelle ipotesi normative summenzionate, si debba intendere di regola l’imputato (nonché l’indagato, in virtù di quanto sancito dall’art. 61, co. I, c.p.p.) e le altri parti private.
Lo scrivente, invece, non stima estensibile tale locuzione alla figura del difensore quando la nullità si verifichi nel corso del giudizio[3] e, per quanto concerne la nozione di “parte interessata”, laddove non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 182, co. I, c.p.p.[4] .
Le ragioni, che inducono a tale conclusione, sono molteplici e trovano conferma alla luce di plurime argomentazioni giuridiche.
In primo luogo, a livello costituzionale, come è notorio, l’art. 111, co. II, Cost. prevede che il processo “si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.
La Corte Costituzionale, a tal riguardo, nella sentenza n. 27 del 2007, ha chiarito, che ancora prima della riforma costituzionale del 1999, il principio della “parità della parti”, pur non comportando una identità quanto ai poteri processuali, involge, come soggetti coinvolti, unicamente il pubblico ministero e l’imputato inteso quest’ultimo come “soggetto privato che difende i propri diritti fondamentali (in primis, quello di libertà personale)”.
Del resto, già in epoca antecedente alla modifica apportata all’art. 111 Cost., la Consulta aveva rilevato la centralità del ruolo dell’imputato il quale, pur tutelato sotto il profilo tecnico dall’ausilio di un soggetto qualificato quale è il difensore, veniva indicato come il protagonista del processo penale inteso come colui che “ha facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico contribuendo all'acquisizione delle prove ed al controllo di legalità del suo svolgimento”[5] dovendogli essere garantita “la possibilità di intervenire in ogni stato e grado del procedimento”[6].
Come si intravede da questo passo decisorio, il ruolo attribuito all’imputato dalla Corte Costituzionale è perfettamente speculare al suo diritto, unitamente a quello riconosciuto alle altre parte private, di intervenire sancito dall’art. 178, co. I, lett. c), c.p.p., che, già da un punto di vista squisitamente etimologico, non è dissimile dalla locuzione “assistere” utilizzata nell’art. 182, co. I, c.p.p. che, come è risaputo, a sua volta, è impiegata dal legislatore per indicare chi, qualora presente, non eccependo la nullità di un atto insorta “prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo”, decade dalla possibilità di rilevarla successivamente.
Il diritto di intervenire, inoltre, non può essere interpretato riduttivamente nel senso di assistere passivamente ad un processo sicchè, come rilevato dalla Corte di Cassazione in diverse pronunce, la presenza delle parti nel processo deve essere inteso “come partecipazione attiva”[7] e “cosciente”[8] alla vicenda processuale al fine di prendere parte “in contraddittorio all'acquisizione e alla formazione della prova, con la possibilità di interloquire a fronte delle richieste delle altre parti e di esprimere le proprie valutazioni conclusive in esito al procedimento”[9].
Difatti, come dedotto da insigne letteratura scientifica, sono “relative al concetto “intervento” tanto le disposizioni finalizzate ad assicurare la presenza al procedimento, quanto le norme volte a garantire l’esercizio diretto di facoltà e poteri”[10] dovendosi distinguere “tra diritto di difesa in senso tecnico ed in senso sostanziale: del primo è titolare il difensore, del secondo è titolare l’imputato (o l’indagato)”[11].
Orbene, è chiaro che, qualora l’imputato non sia presente in udienza e una nullità sia insorta in quella occasione, costui non potrà intervenire ad esempio, interloquendo con il proprio difensore in merito sull’opportunità di dedurre o meno e, in caso di risposta affermativa, in che modo, si debba argomentare su tale invalidità processuale stante il fatto che “può accadere che la parte ritenga strategicamente più conveniente la prosecuzione del processo senza interruzioni piuttosto che l'arresto o la regressione dello stesso; per cui la manifestazione di volontà del soggetto può avere ad oggetto in via alternativa la produzione degli effetti, consentendone la realizzazione o l' esercizio della facoltà di impedirli”[12].
Ad analoghe considerazioni, si dovrebbe giungere per quanto concerne le altre parti private e, segnatamente:
Orbene, si potrebbe a questo punto obiettare che la presenza del difensore, in quanto tale, in ossequio a quanto previsto dall’art. 99 c.p.p., garantirebbe l’imputato anche qualora costui sia assente, giacchè, come è risaputo, questa norma giuridica, al primo comma, riconosce al difensore “le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest’ultimo”.
Medesime riflessioni giuridiche potrebbero essere formulate per le altre parti private alla luce di quanto statuito dall’art. 100, co. IV, c.p.p. che, come è notorio, conferisce al difensore la facoltà di compiere e ricevere, “nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati”.
Ebbene, queste norme giuridiche, così strutturate, sono sufficienti per considerare il difensore, nel caso in esame, sempre una parte?
La risposta è, a modesto avviso di chi scrive, negativa per le susseguenti considerazioni.
In primo luogo, vi è una valutazione di ordine topografico, dato che il difensore è disciplinato nel codice di rito nel libro I, titolo VII, tra i soggetti che, in quanto tali, differiscono dalle parti strictu sensu.
Infatti, sul punto, autorevole dottrina, partendo dal presupposto secondo cui per “soggetti”, si devono intendere “coloro i quali hanno il potere/dovere di iniziativa nel compimento di atti processuali”[15], è pervenuta alla conclusione secondo la quale, in questa generale categoria, rientrano, da un lato, “le parti”[16] e, dall’altro lato, “altre figure che pur non essendo attori o destinatari dell’azione compaiono sulla scena processuale in quanto titolari dei suddetti poteri/doveri”[17] quale, per l’appunto, oltre alla parte offesa, agli enti rappresentativi di interesse lesi dal reato, alla polizia giudiziaria e al giudice, pure il “difensore che si affianca alle parti”[18].
In secondo luogo, vi è una analisi di ordine normativo sicchè, per quanto riguarda l’art. 99 c.p.p., la “titolarità della difesa è, tuttavia, sempre in capo all’imputato che può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all’atto stesso, sia intervenuto il provvedimento del giudice (art. 99, comma 2)”[19] dato che, in “tema di esercizio del diritto di difesa l'attività svolta dal difensore nell'interesse dell'imputato non può porsi in contrasto con la volontà di quest'ultimo competendo al medesimo il potere, a norma dell'art. 99 cpv. c.p.p., di togliere effetto all'atto compiuto dal difensore prima che in relazione ad esso sia intervenuto un provvedimento del giudice”[20].
Di talchè, qualora l’imputato sia assente, è evidente che non potrebbe operare l’art. 99 c.p.p., poiché, qualora il difensore non eccepisca la nullità dell’atto proseguendo nella sua attività professionale, il primo non potrebbe privare di effetto quanto compiuto dal secondo.
Infatti, una volta adottato un provvedimento da parte del giudice (che non sarebbe altro che l’atto menzionato dall’art. 182, co. II, c.p.p. ovvero quello indicato nell’art. 183, co. I, lett. a), c.p.p.), colui, che è soggetto ad un processo penale, decadrebbe dalla possibilità di esercitare un siffatto potere revocatorio.
Del resto, se il difensore fosse libero di agire motu propriu, una volta conseguito il mandato legale, non si riesce a capire perché il codice di rito preveda apposite norme giuridiche (es. artt. 70 – 143 c.p.p.) volte a “garantire che l’imputato sia in grado di comprendere compiutamente il significato degli atti che si compiono nel processo a suo carico”[21].
A considerazioni eguali, inoltre, si deve pervenire per quanto concerne le altre parti private sicchè l’art. 100 c.p.p., come suesposto, ne circoscrive il mandato defensionale ai soli atti del procedimento che non sono espressamente riservati alla parte rappresentata con esclusione, salvo patto contrario, del compimento di “atti che importino disposizione del diritto in contesa” nonché di un potere certificatorio generale sicchè “le norme che gli conferiscono il relativo potere hanno carattere eccezionale”[22].
In terzo luogo, vi sono ragioni di ordine logico - sistematico posto che, in molteplici disposizioni legislative disseminate nell’impianto codicistico, emerge chiaramente come il difensore e le parti siano considerati alla stregua di soggetti distinti e separati.
A tale proposito, senza nessuna pretesa esaustiva, si richiamano le seguenti norme procedurali:
Di talchè emerge, alla luce del combinato disposto di queste norme giuridiche, che il legislatore ha chiaramente distinto la parte o le parti dai difensori e quindi, non si riesce a capire, argomentando a fortiori perché, solo nel caso previsto dall’art. 182, co. II, c.p.p., tale distinguo debba venir meno per colui che assiste in un processo per questa peculiare situazione.
In quarto luogo, a sostegno di tale approdo ermeneutico, militano considerazioni di ordine logico – giuridico sicchè, qualora si volesse intendere per parte che “vi assiste” pure il difensore, nel caso di nullità verificatesi nel corso del giudizio, non troverebbe mai applicazione l’art. 180, ultimo capoverso, c.p.p. che, come è risaputo, prevede, per le nullità a regime intermedio insorte in questa fase processuale, la loro deducibilità “dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo”, né l’art. 181, co. IV, c.p.p. il quale, come è altrettanto risaputo, statuisce, per quelle “relative”, la loro eccepibilità solo “con l’impugnazione della relativa sentenza”.
Difatti, atteso che, dall’istruttoria dibattimentale sino alla deliberazione della sentenza, il difensore assiste sempre, non potrebbero mai essere dedotte tali nullità nel grado successivo dovendo essere le eccezioni sempre sollevate nei limiti stabiliti dall’art. 182, co. II, c.p.p. pure qualora l’imputato o altra parte privata sia (per ipotesi) assente o contumace.
Ragionare in diverso modo, per di più, determinerebbe un rovesciamento dell’ordine da seguire per osservare la norma procedurale su emarginata visto che l’art. 182 c.p.p. diventerebbe la regola mentre gli artt. 180 e 181 c.p.p., la deroga (perlomeno nei casi di nullità insorte nel corso del giudizio e non prima).
In quinto luogo, vi sono valutazioni di ordine storico – comparatistico giacchè, se nel vigore del codice “Rocco”, sussisteva un indirizzo interpretativo che “riconosceva al pubblico ministero il potere di prospettare sempre e comunque la nullità dell'atto anche nel caso in cui la stessa concernesse la posizione di altro soggetto processuale”[33], “il legislatore del 1988 ha, invero, optato per un sistema nel quale il controllo giurisdizionale sulla difformità tra atto e modello di riferimento è subordinato alla determinazione della parte, ovvero all'esercizio di una prerogativa processuale qualificabile non come mero potere di deduzione della nullità, bensì come «eccezione» in senso proprio”[34].
Del resto, per tutte le nullità, durante la vigenza del codice pre vigente, il giudice, qualora ne rilevasse ex officio la loro sussistenza, doveva provvedere, se possibile, “immediatamente ad eliminarla”[35].
Quindi, anche in virtù di tale novella legislativa che incardina il regime di deducibilità su impulso di parte (salvo quanto previsto dagli artt. 179 e 180 c.p.p.) e considerato che, come già dedotto in precedenza, alla stregua di quanto sancito dall’art. 111, co. II, Cost., la parte non è il difensore ma il difeso, dovrebbe escludersi che il legale possa essere stimato parte ai sensi dell’art. 182, co. II, c.p.p. .
D’altronde, alla luce di un quadro codicistico mutato, vi è un elemento di sostanziale omogeneità normativa che sembra confermare siffatto assunto.
Infatti, proprio perché il regime attuale di nullità è imperniato, come appena rilevato, di regola, sulla istanza di parte, è evidente che l’art. 471 c.p.p. del 30 (sostanzialmente omologo a quello previsto dall’attuale art. 182, co. II, c.p.p.) nello stabilire che le nullità sono sanate “se la parte interessata non le ha fatte rilevare prima che l’atto sia compiuto, e, quando ciò non sia possibile immediatamente dopo il compimento dell’atto”, non fa altro che confermare, argomentando a fortiori, che, anche nel codice “Vassalli”, la parte che vi assiste menzionata nell’art. 182 c.p.p. non può che essere riferita alla parte interessata.
Si pone a questo punto il problema di capire se, di regola, per “parte interessata” si possa intendere pure il difensore.
La risposta, ad avviso dello scrivente, è in linea di principio negativa perchè vi sono diverse norme procedurali da cui trapela chiaramente come il difensore debba essere di regola distinto da colui che è l’effettivo soggetto interessato al compimento di uno dato atto procedimentale.
A tale scopo, anche in questo caso, senza nessuna pretesa esaustiva, si richiamano, solo a titolo meramente esemplificativo, le susseguenti disposizioni legislative:
Cosicchè, alla luce di tale articolato normativo, è chiaro che “parte interessata” e “difensore”, di regola, non possono essere ricondotti nell’alveo del medesimo soggetto processuale salvo il caso in cui l’interesse riguardi l’osservanza di una guarentigia propria del difensore.
Tra l’altro, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 379 del 1995, nel richiamare la garanzia sancita dal secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, ha chiaramente differenziato la “presenza delle parti interessate” da quella “dei rispettivi difensori” così come la Cassazione, pure durante la vigenza del codice “Rocco”, ha proceduto al medesimo “distinguo” affermando che l’ “omissione dell'interrogatorio dibattimentale dell'imputato, presente ed assistito dal difensore, costituisce una nullità relativa, sanata dal silenzio dell'interessato e del suo difensore durante tutto il dibattimento”[45].
Di conseguenza, la sanatoria delle nullità sancita dall’art. 183, co. I, lett. a), c.p.p. che, come è noto, ricorre qualora la “parte interessata” “ha rinunciato espressamente a eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell’atto”, deve vagliarsi sussistente solo ove la rinunzia o l’accettazione sia stata compiuta dalla persona direttamente destinataria degli effetti dell’atto nullo.
Invero, ai sensi del combinato disposto ex articoli 184, co. I, c.p.p.[46] e 182, co. I, c.p.p., dovrà intendersi per “parte interessata” anche il legale ogniqualvolta, l’atto nullo leda il suo diritto di difendere (es. laddove, l’omesso avviso ad uno dei difensori dell’imputato della data fissata per il dibattimento, venga dedotto da uno dei componenti del collegio difensivo[47] o, allorquando il processo venga celebrato sebbene il difensore non compaia non avendo ricevuto la notifica nei termini[48]) proprio perché, in tale caso, anche colui che difende, ha un diretto ed immediato “interesse all’osservanza della disposizione violata”[49]; giova tuttavia precisare che sarebbe stato preferibile, utilizzare anziché “parte” la parola “soggetto” visto che, come suesposto, il difensore non può essere considerato una “parte”.
Invece, ad eccezione di quanto previsto dai precetti normativi appena citati, come già evidenziato per l’art. 182, co. II, c.p.p., anche per l’art. 183, co. I, lett. a), c.p.p., allorquando si volesse sempre intendere “parte interessata” anche chi difende, si verrebbe a determinare una sostanziale disapplicazione degli artt. 180 e 181 c.p.p. ogni volta che la nullità si sia verificata nel corso del giudizio e la disposizione violata non tuteli una garanzia del difensore ma del difeso.
Ad esempio, la pretesa giuridica volta “all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico” prevista dall’art. 495, co. II, c.p.p. rappresenta una prerogativa processuale propria dell’imputato sicchè, sulla “scorta di quanto previsto dall’art. 6, par. 3, lett. d, C.e.d.u., dall’art. 14, par. 3, lett. e, P.i.d.c.p. nonché dall’art. 111, comma 3, Cost., l’art. 495, comma 2, sancisce un uguale diritto, in capo all’imputato e al pubblico ministero – ma non in capo alle altre parti processuali – all’ammissione della “prova contraria”, che può tendere sia a negare l’esistenza del medesimo fatto principale, sia ad affermare l’esistenza di un fatto diverso, ma incompatibile con l’esistenza del fatto principale”[50].
Difatti, come sopra detto, se si volesse intendere per “parte interessata” sempre e comunque anche il difensore, nessuna nullità potrebbe essere eccepita nel successivo grado di giudizio dal momento che dovrebbe sempre essere dedotta, per forza di cose, dal legale nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Ad ogni modo, qualora dovesse prevalere la tesi ermeneutica di segno avverso[51], sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore che, nelle ipotesi previste dalle norme giuridiche in commento, menzioni espressamente il difensore tra i soggetti (e non le parti) deputate a dedurre le nullità ad esempio, sostituendo le parole “parte interessata”, ogniqualvolta sono utilizzate, con quelle di “soggetto interessato” dato che, come su indicato, il difensore non è una parte ma un soggetto.
Tuttavia, chi scrive si auspica che prevalga la soluzione ermeneutica illustrata in questo breve libello siccome più consona al dettato costituzionale attraverso, ad esempio, l’inserimento, rispettivamente all’interno dell’art. 182 c.p.p. e dell’art. 183 c.p.p., di appositi commi (da posizionare ambedue alla fine di questi articoli) enunciati nel seguente modo:
Da ultimo, tale emenda legislativa non determinerebbe alcuna antinomia normativa giacchè, come è noto, l’art. 99, co. I, c.p.p. prevede che al difensore non competono la facoltà e i diritti che la legge riserva personalmente all’imputato così come l’art. 100, co. IV, c.p.p. riconosce al patrocinatore, per la difesa delle altre parti private, il diritto di “compiere e ricevere, nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati”.
In caso di perdurante inerzia del legislatore (in un senso o nell’altro), sarebbe comunque augurabile che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale:
- dell’art. 182, co. II, c.p.p. per violazione dell’art. 111, co. II, Cost. (laddove è sancito che il “processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”) e dell’art. 3, co. I, Cost. (sotto il profilo della “ragionevolezza”) nella parte in cui viene ritenuto, per parte che “vi assiste”, anche il difensore dell’imputato qualora la nullità si sia verificata nel corso del giudizio;
- dell’art. 183, co. I, lett. a), c.p.p. per violazione dell’art. 111, co. II, Cost. (laddove è sancito che il “processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”) e dell’art. 3, co. I, Cost. (sotto il profilo della “ragionevolezza”) nella parte in cui viene ritenuto per “parte interessata”, anche il difensore dell’imputato sempre qualora la nullità si sia verificata nel corso del giudizio (posto che per gli atti preliminari, dovrebbe continuare a trovare applicazione l’art. 184, co. I, c.p.p.) sempreché non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 182, co. I, c.p.p. .
Infatti, solo in tal guisa potrà essere garantita una uniformità normativa delle norme procedurali su emarginate che, alla luce delle considerazioni suesposte, allo stato, si appalesa non del tutto sussistente.
[1]Il quale, come è noto, stabilisce che, quando “la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo”.
[2]Che, come è risaputo, prevede che le nullità sono sanate “se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell'atto”.
[3]Riguardante in buona sostanza l’istruttoria dibattimentale sicchè , sia alla luce di quanto previsto dall’art. 180, co, II e co. III, c.p.p. e, per quanto riguarda le nullità a regime intermedio, sia sulla scorta di un consolidato orientamento nomofilattico (ex plurimibus, Cass. pen., sez. II, 26/11/10, n. 44363), vanno escluse dal novero del nullità verificatesi nel corso del giudizio, quelle concernenti gli atti delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio, gli atti compiuti nell’incidente probatorio e, in generale, tutti gli atti preliminari al dibattimento (ex artt. 468 e ss. c.p.p.). Per quanto involge gli atti preliminari al dibattimento, corre l’obbligo di evidenziare che, per quanto concerne le nullità a regime intermedio, vi è una insigne letteratura scientifica che include anche questa fase nel giudizio, in virtù della “collocazione sistematica delle norme disciplinanti gli atti preliminari al dibattimento all’interno del Libro VII dedicato al giudizio”(Giovanni Dean, “Gli Atti”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 217).
[4]Secondo cui, come è notorio, le “nullità previste dagli artt. 180 e 181 non possono essere eccepite da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa ovvero non ha interesse all’osservanza della disposizione violata”.
[5]Corte Cost., sent. n. 421/97.
[6]Ibidem.
[7]Cass. pen., sez. IV, 18/11/09, n. 46755.
[8]Cass. pen., sez. I, 20/06/97, n. 4242.
[9]Cass. pen., sez. IV, 25/11/09, n. 48373.
[10]Giovanni Dean, “Gli Atti”, AAVV, Procedura penale, Torino, Giappichelli editore, 2010, pagg. 218 e 219.
[11]G. Lozzi, “Lineamenti di procedura penale”; seconda ed., Torino, Giappichelli editore, 2009, pag. 57.
[12]Clelia Iasevoli, “La nullità nel processo partecipato: ovvero legalità e garanzie nell’etica della responsabilità”, Riv. It. dir. e proc. pen., 2011, 02, 664
[13]Art. 69 A, par. 2-I.
[14]Art. 69 A, par. 2-II.
[15]Oliviero Mazza, “I protagonisti del processo”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 53.
[16]Ibidem.
[17]Ibidem.
[18]Ibidem.
[19]Ibidem, pag. 134.
[20]Cass. pen., sez. VI, 30/12/93, fonti: Mass. pen. cass. 1995, fasc. 7, 81.
[21]Oliviero Mazza, “I protagonisti del processo”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 144.
[22]Cass. pen., sez. IV, 21/02/08, n. 15175.
[23]Cass. pen., sez. I, 15/01/99, n. 389.
[24]Cass. pen., sez. fer., 9/09/10, n. 34244.
[25]Cass. pen., sez. IV, 25/11/09, n. 48373.
[26]Giovanni Dean, “Gli Atti”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 207.
[27]Cass. pen., sez. IV, 9/03/09, n. 18974.
[28]Cass. pen., sez. II, 29/02/08, n. 17335.
[29]Cass. pen., sez. I, 31/10/96, n. 5678.
[30]Oreste Dominioni, “I mezzi di prova”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 273.
[31]Cass. pen., sez. un., 21/06/00, n. 19.
[32]Cass. pen., sez. VI, 3/10/05, n. 40492.
[33]Giuseppe Magliocca, “Nullità relativa ed eccezione di parte: brevi note sull’art. 182 c.p.p.”, Giur. Merito, 2010, 4, 1072.,
[34]Ibidem.
[35]Art. 187, co. I, c.p.p. del 30.
[36]Cass. pen., sez. VI, 16/10/95, n. 3619.
[37]Cass. pen., sez. IV, 7/03/08, n. 17044.
[38]Cass. pen., sez. I, 15/05/12, n. 23774.
[39]Cass. pen., sez. I, 14/10/10, n. 39683.
[40]Cass. pen., sez. VI, 23/10/09, n. 43506.
[41]Alfredo Gaito, “La cooperazione giudiziaria internazionale nell’esecuzione”, AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 949, il quale, inoltre, annovera, in questa locuzione, pena la violazione dei principi di eguaglianza e difesa, anche “chi abbia chiesto il riconoscimento ai sensi dell’art. 732” c.p.p. (ibidem, pag. 949).
[42]Cass. pen., sez. VI, 6/10/10, n. 36695.
[43]Cass. pen., sez. III, 10/02/10, n. 15372.
[44]Argomentando a contrario, Cass. pen., sez. fer., 2/09/08, n. 34819.
[45]Cass. pen., sez. I, 8/05/78, fonti: Giur. It, 1979, II, 298.
[46]Che, come è noto, stabilisce che la “nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire”.
[47]Argomentando a contrario, Cass. pen., sez. IV, 9/07/03, n. 37471.
[48]Argomentando a contrario, Cass. pen., sez. V, 28/10/08, n. 43443: “In tema di citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace, il mancato rispetto del termine di comparizione di giorni trenta è causa di nullità a regime intermedio dell'atto, sanabile ove la parte interessata compaia o rinunci espressamente a comparire”.
[49]Art. 182, co. I, c.p.p. .
[50]Giulio Caruti, “Il giudizio ordinario”; AAVV, Procedura penale, Torino 2010, Giappichelli editore, pag. 575.
[51]In tal senso, Cass. pen., sez. VI, 13/12/01, n. 3927: “La previsione dell'art. 182 comma 2 c.p.p., secondo cui, quando la parte vi assiste, la nullità di un atto dev'essere eccepita prima del suo compimento o, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, non può essere riferita all'indagato o imputato”. Su questa linea ermeneutica, Clelia Iasevoli la quale, nell’opera “La nullità nel processo partecipato: ovvero legalità e garanzie nell’etica della responsabilità”, edito sulla Riv. It. dir. e proc. pen., 2011, 02, 664, ha esposto quanto segue: “Per quanto concerne il riferimento alla parte, esso chiaramente è estensibile al difensore; non a caso, l'art. 99 comma 1 c.p.p. gli attribuisce in via generale i diritti e le facoltà non espressamente riservati all'imputato. Il concetto di parte è quello di parte assistita. Ne consegue che qualora il difensore non agisca per conto e nell'interesse del suo assistito deducendo la nullità prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto, fa decadere costui dalla facoltà di eccepirla ai sensi dell'art. 182 comma 3 c.p.p.”.
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